Questa ricetta del liquore al cioccolato di Porzia è un omaggio che ho voluto fare ad una persona speciale che considero una mia mentore per l’attività di chef che ho intrapreso già da qualche anno e soprattutto un’amica splendida con cui ho vissuto tanti momenti indimenticabili e che più volte ha voluto condividere con me il suo sapere.
Porzia Losacco Boccasino è stata un’insegnante di cucina che ho conosciuto quando ho partecipato al Forum de La Cucina Italiana, in un tempo in cui non esistevano ancora i blog né si parlava di food blogger. Da lì ogni nostro incontro si è trasformato in un momento indimenticabile in cui, non solo mi ha trasmesso tecniche e ricette ma anche passione e amore per l’arte culinaria, rendendo ogni lezione un’esperienza coinvolgente e piena di calore: come questo suo liquore, che considero una coccola dolce nel momento in cui lo si assapora freddo e lo si accompagna con dei biscotti, cioccolato fondente oppure con dei tipici dolcetti natalizi.
Origine, proprietà e benefici del cioccolato
Come molti sanno, il cioccolato trae la sua origine dai frutti degli alberi di cacao, le cosiddette fave che, per essere mangiate, venivano essiccate e tostate. Queste piante, originarie dell’America centrale e meridionale, iniziarono ad essere utilizzate per la prima volta dall’uomo più di 5000 anni fa in Amazzonia. Poi le piantagioni si espansero prima in quell’area dove oggi sorgono il Messico meridionale ed il Guatemala e più tardi arrivarono fino all’altopiano del Messico, dove vivevano Olmechi, Maya e Aztechi che furono le prime popolazioni ad usarlo come alimento ed a conferirgli un valore simbolico e religioso. Gli Olmechi trasformarono la pianta del cacao in cioccolato, sotto forma di bevanda che consumavano durante dei rituali e la utilizzavano come medicina. I Maya invece il cioccolato lo chiamavano “xocolatl”, che significa letteralmente “acqua amara“, ed era un infuso che veniva preparato con semi di cacao tostati e macinati, mescolati insieme a peperoncini, acqua e farina di mais. Lo consideravano una “bevanda degli dei” e, grazie alla diffusione della coltivazione della pianta nello Yucatán dove sorsero le prime piantagioni di cacao dell’umanità, era disponibile a tutti, ricchi e poveri, che lo consumavano ogni giorno ed ad ogni pasto.
Gli Aztechi infine utilizzavano le fave di cacao come valuta e veniva considerato un bene di lusso che solo la classe ricca poteva permettersi; per la loro civiltà mangiare queste fave voleva dire fare un pieno di saggezza e potere ed assicurarsi qualità nutritive, fortificanti ed afrodisiache: a tal proposito l’esempio più conosciuto è quello di Montezuma che aveva l’abitudine di assumerle prima di recarsi nel suo harem.
In Europa il cioccolato arrivò molto più tardi e furono gli Spagnoli i primi, nella metà del ‘500, a gustarlo; anzi fu proprio la corte spagnola, una volta conosciutene la bontà, ad innamorarsene ed a spingere i propri commercianti, a cui si unirono anche quelli francesi ed italiani, a visitare le zone dell’America centrale per trovare ed importare questo prodotto così buono.
Se non ci sono dubbi sulla Nazione del Vecchio Continente che per prima assaporò le fave di cacao, esistono varie teorie su chi invece sia stato il primo europeo ad assaggiarle: alcuni storici sono convinti sia stato Cristoforo Colombo nel suo quarto ed ultimo viaggio in America. Altri studiosi pensano che sia stato il conquistatore spagnolo Hernán Cortés, che conobbe il cioccolato alla corte di Montezuma; altri infine sono sicuri che il cioccolato come bevanda sia stato portato in dono nel 1544 al Re Filippo II di Spagna da una delegazione di Maya guatemaltechi.
L’unica cosa certa è che fu Cortés a renderla la bevanda dolce che oggi conosciamo come “cioccolata”, aggiungendo per primo lo zucchero ed altre spezie dolci come vaniglia, noce moscata, chiodi di garofano e cannella. Nel ‘600 questa bevanda si diffuse in tutta Europa, prima in Francia, poi in Italia e in Inghilterra; per la realizzazione delle prime tavolette bisogna aspettare invece la metà dell’ottocento, quando comparvero le prime macchine con cui fu possibile estrarre dal cacao i suoi derivati come la polvere e il burro di cacao, fondamentali anche per creare gli altri tipi di cioccolato.
La prima barretta di cioccolato solido la si deve ad una compagnia inglese, fu in Svizzera che venne creato il cioccolato al latte mentre a Torino, grazie a Paul Caffarel, vennero realizzati i primi cioccolatini incartati singolarmente, i gianduiotti.
Oggi esistono tantissime tipologie di cioccolato che nascono tutte da tre varietà di cacao: il criollo chiamato anche cacao nobile oppure seme dei Maya che è la varietà più pregiata, poi c’è il forastero o cacao di consumo, che è la specie più utilizzata al mondo ed infine il trinitario che è infine la varietà intermedia delle due precedenti.
Solitamente gli alimenti più saporiti sono anche quelli più dannosi al nostro organismo e fino a qualche anno fa si pensava che anche il cioccolato in tutte le sue varietà appartenesse a questa categoria: si è scoperto invece che quello fondente, costituisce la classica eccezione e che, mangiato moderatamente, possiede delle proprietà che ci aiutano a vivere meglio. Questo perché il cioccolato fondente, grazie al suo maggiore contenuto di cacao, contiene una buona quantità di flavonoidi, degli ossidanti di origine vegetale che hanno effetti molto vantaggiosi per la nostra salute. Anche se non riescono a cancellare le calorie dei grassi contenuti nel cioccolato, i flavonoidi riducono la pressione sanguigna, proteggono le nostre arterie dai danni dell’arteriosclerosi e prevengono eventuali malattie cardiovascolari come l’infarto e l’ictus. Inoltre il cioccolato è anche fonte di calcio, magnesio, fosforo e potassio ed aumenta la produzione di serotonina, per cui viene definito un antidepressivo naturale.
Discorso contrario per il cioccolato bianco e per quello al latte che, anche se sono le tipologie più amate e mangiate soprattutto dai bambini, sono quelle maggiormente deleterie per la nostra linea. Nella loro preparazione, infatti, vengono aggiunti latte ed altri additivi che, creando zuccheri “superiori”, più difficoltosi da metabolizzare e da espellere rispetto a quelli semplici, ne modificano la composizione, rendendoli così queste tipologie non più pure, meno “digeribili” e soprattutto più grasse.